Io sono la mamma di Anita, una piccola bambina di 42 giorni che ci ha lasciato una fredda notte di Dicembre del 1998.
Nonostante sia passato molto tempo, mi tradisce ancora l’emozione quando parlo o scrivo di lei…
Quando ho perso la mia bambina, in Italia si parlava pochissimo di SIDS. Io ho partorito in un punto nascita a Milano, dove nascevano allora 8.000 bambini l’anno, eppure di SIDS non se ne parlava o, qualcuno citandola ai corsi preparto, diceva che non c’era niente da fare per cui era meglio non far preoccupare le mamme… come se invece parlare di malformazioni, sindrome di Down annessi e connessi fosse meno angosciante.
Questo nonostante negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, nella vicina Francia, ci fossero già in atto da un po’ di anni delle vere e proprie campagne nazionali di prevenzione, con dei risultati importantissimi: crollo di casi SIDS fino al 60% semplicemente applicando 3 semplice regole: far dormire i bambini a pancia in su in un ambiente fresco e senza fumo (evitandolo anche in gravidanza).
La notte che Anita è morta è stata la prima e l’ultima notte che ha dormito prona. Io non sapevo che l’avevo esposta ad un rischio di SIDS 10 volte superiore rispetto alla nanna supina nel momento in cui l’ho messo nella sua cullina. Si era addormenta così sul mio braccio e non volevo svegliarla. E infatti non si è più svegliata…
L’ho trovata io a mezzanotte, priva di vita. Io e mio marito abbiamo tentato di tutto, abbiamo provato a rianimarla in tutti modi mentre chiamavamo il 118 che è arrivato pure in fretta, ma noi avevamo già capito che non c’era più nulla da fare.
Quella notte Anita, dopo inutili tentativi per far ripartire il suo cuore, è stata portata via. Mi sembrava di vivere un incubo, speravo di andare a dormire e di svegliarmi con lei ancora viva fra le mie braccia. Ma la notte era ancora lunga…
Poco dopo sono arrivati infatti due Carabinieri, chiamati dagli operatori del 118 come di prassi. Erano due bravi ragazzi più sconvolti noi. Gli abbiamo fatto un caffè e ci hanno fatto un po’ di domande, hanno voluto vedere la sua cameretta e poi hanno chiamato il Magistrato. Li ho sentiti dire al telefono: “gente per bene, una bella casa, hanno un’altra bambina di 2 anni, il 118 conferma che sembra proprio una morte bianca”.
Siamo stati fortunati perché il Magistrato, un mamma anche lei, capita la situazione non ha infierito con ulteriori indagini ed ha aspettato solo l’esito dell’autopsia.
All’alba sono arrivati i miei genitori, mia suocera i miei cognati ed è stato faticosissimo informare gli amici e i parenti.
Il giorno dopo, dopo aver fatto visita all’obitorio, sono dovuta andare al Pronto Soccorso per bloccare la montata lattea. Lì ho trovato un’ostetrica molto carina e sinceramente dispiaciuta che però non è stata in grado di spiegarmi nulla. Ne sapeva poco più di me.
Lo stesso giorno è stata fatta l’autopsia. Mi avevano chiesto se ero d’accordo sul farla e ora sono contenta di aver detto di sì. Ho capito poi quanto è stato importante per me sia per l’elaborazione del lutto, che per la successiva gravidanza, sapere che non c’era stato nessun errore da parte mia, che non avevo responsibilità.
Anche lì siamo stati fortunati, l’anatomo patologo era amico di una nostra amica magistrato e grazie a ciò abbiamo saputo immediatamente l’esito, almeno quello che si vedeva macroscopicamente.
La fotuna ci ha assistito anche per il funerale. Il parroco decise di fare comunque un funerale completo anche se Anita non era stata battezzata. Era un uomo in gamba che mi ha detto delle cose bellissime.
Il Pediatra non mi è stato invece di nessun aiuto: era sconvolto e si capiva che cercava supporto da me, non si dava pace e non si perdonava il fatto di essere assolutamente non aggiornato.
Nella disperazione più totale di quei giorni, per noi però la fortuna più grande è stata quella di trovare l’Associazione. Mio marito ed io siamo andati a Firenze ad incontrare una mamma, che ancora è nella nostra Associazione e che allora mi accolse con un sorriso dicendomi : “tu pensi che la tua vita sia finita, sei stordita, arrabbiata e ti senti in colpa, tutto questo è normale. Ti garantisco che la tua vita è cambiata ma non è finita, un giorno tornerai a sorridere e ti sorprenderai”. Vedere questa donna serena e soprattutto viva, è stato per me importantissimo, ho capito che avrei potuto sopravvivere.
La vicinanza di mio marito e l’amore per la nostra primogenita Maria hanno fatto il resto.
In quel periodo è però scattato in me il desiderio di trasformare questo mio dramma personale in qualcosa di utile per gli altri ed ho iniziato la mia attività di volontaria nell’Associazione.
E’ nato poi Antonio nel 2000, è stato super controllato e abbiamo anche avuto un monitor domiciliare per valutare la sua attività cardiorespiratoria (i bambini successivi hanno un rischio 5 volte superiore agli altri).
La nascita di Antonio è stato il punto di arrivo della prima fase di una lunga elaborazione del lutto che non è ancora conclusa. E’ stata la prima vera gioia dopo tanto dolore, il momento in cui ho smesso di sopravvivere e ho ricominciato a vivere.
Ancora oggi però quando parlo con un genitore che ha perso il suo bambino non posso fare a meno di immedesimarmi nel suo dolore e ogni volta mi rendo conto che dopo tanti anni la ferita fa ancora male.
Tuttavia il dolore è mutato: è intermittente, raffiora solo in certi momenti ma mi dà tregua, cosa che all’inizio non era così. Allora credevo di impazzire, ora convivo tranquillamente col pensiero di Anita e in fondo penso che quello che mi è successo sia terribile ma averla messa al mondo e averla avuta con me, anche se per poco, è stata una grandissima fortuna.
Diciamo che se faccio un bilancio della mia vita fino ad ora penso che sia divisa in due: la vita prima di Anita e quella dopo di Anita. Lei è stato davvero uno spartiacque: io sono profondamente cambiata ma sinceramente penso in meglio…