Per Giovanni
Giovanni era il mio secondo bambino, l’ho fortemente voluto e desiderato nonostante il parere contrario di Giancarlo che ha un altro figlio e che avrebbe desiderato svoltare almeno rispetto a tutto quello che ruota attorno ai bambini piccoli. All’epoca avrei dovuto fare un intervento di protesi all’anca per rimediare i danni di una lussazione congenita, ma forzando la situazione riuscii a dilazionare i tempi per farci rientrare questo bambino.
Quindi il clima di avvio di questa gravidanza è stato di preoccupazione da parte anche dei nonni, anche se solamente per la mia salute, che si venne poi sciogliendo con il passare del tempo. Giovanni è nato il 9 ottobre del ’93, con un doppio giro di cordone ombelicale attorno al collo che ha fatto si che le ultime fasi del parto siano state un pò concitate, ma niente di che. Era grande, Kg 3.600, rispetto alla media familiare e straordinariamente bello. Tutto è andato bene, lui dormiva e mangiava e dolcemente sorrideva, noi lo chiamavamo Ton-Ton per differenziarlo da Despina che da piccola veniva chiamata Tin-Tin , proprio per metterne in evidenza il carattere pacato e lento, per l’appunto quasi “tonto”.
(diverse sere, all’ora dell’ultima poppata, mandavo Giancarlo di sopra a prendere il bambino e aspettavo con timore le sue reazioni, temendo un evento mortale, sia chiaro che io non ne avevo mai sentito parlare chiaramente della SIDS, sapevo, quasi come fosse una leggenda metropolitana, dell’esistenza di queste morti bianche)
A fine febbraio partiamo per la montagna io ed i bambini accompagnati dai miei genitori, tutto tranquillo. La prima notte in montagna l’ho passata posseduta da incubi che però, riguardavano il mio lavoro, ma che mi hanno impedito di dormire tranquillamente.
Giovanni, che aveva la cattiva abitudine di svegliarsi tutte le notti alle 4 (l’ora in cui era nato) per la prima volta non si era svegliato ed aveva fatto tutta una tirata fino alle 9 del mattino. Al pomeriggio andiamo a visitare gli zii nel paese vicino, Giovanni era nella macchina sul sedile posteriore dentro il sopra della carrozzina, era stato messo in posizione per dormire, quindi a pancia in giù, aveva Despina accanto mentre mio padre era davanti con me.
Quando siamo arrivati ed io sono andata a prenderlo l’ho trovato morto, insomma non rispondeva, allora l’ho scoperto e lui era esattamente come lo avevo messo, con le braccine distese lungo i fianchi ma le sue mani e la sua faccia che vedevo di lato erano di un colore che purtroppo lasciava pochi dubbi.
Ho allontanato Despina con gli zii, ho preso mio padre dicendogli che dovevo cercare un medico perché il piccino stava poco bene, ho preso Giovanni e sono entrata in un bar dove all’atterrita signora ho chiesto di chiamare il medico di guardia perchè avevo un bambino morto, ho messo Giovanni su di un tavolo dove ho provato a rianimarlo, ho fatto bere mio padre che soffre di cuore ed ho atteso cercando di resistere e cercando di capire che cosa era successo. Prendendo il bambino dalla carrozzina avevo già controllato che non ci fossero tracce di vomito ed ho pensato che si trattasse di morte bianca. Erano le 16.
Poi il medico che è arrivato era una giovanissima ragazza che non ha saputo neanche fare ipotesi e si è limitata ad accettare la mia, mi ha semplicemente consigliato di non portare il bambino in ospedale ad Aosta perché me lo avrebbero ridato solamente dentro la cassa e quindi se io volevo, come dire, portarmelo a casa, di partire immediatamente per arrivare presto a Firenze.
Ho telefonato a degli amici a Firenze che avvertissero Giancarlo, ho chiesto alla zia di tenere Despina ed allo zio di accompagnarci a Firenze, siamo passati da casa a prendere i bagagli e siamo partiti. Solo all’altezza di Genova ho avuto il coraggio di chiamare casa e di parlare con Giancarlo, Il viaggio a causa delle cattive condizioni del tempo è durato quasi otto ore, sono stata otto ore seduta in macchina con il piccolo Giovanni morto in braccio.
Poi a casa da Giancarlo e con lui in ospedale dove ci aspettavano degli amici che ci hanno facilitato tecnicamente mettendo sul referto medico che Giovanni era morto in ospedale di arresto cardiaco. Il giorno dopo ho conosciuto una persona che faceva parte dell’Associazione e che mi ha parlato della SIDS e della sua esperienza. Poi c’è stato il funerale, laico e molto faticoso.
Questo il fatto nella sua crudezza, poi le lettere di condoglianze, le visite e le cure degli amici e dei parenti, la povera Despina abbandonata a Milano con la quale avevo parlato il giorno dopo per telefono spiegando che la brusca partenza era dovuta al fatto che Giovanni si era sentito male improvvisamente e che io l’avevo portato a Firenze, lei è arrivata la sera del giorno dopo, una delle mie amiche sua “zia” preferita era andata a prenderla e noi le abbiamo detto subito come stavano le cose, senza menar troppo il can per l’aia e chiamando questa morte con il suo nome anche se purtroppo non le potevo dire le cause che erano sconosciute.
Despina era all’epoca in prima elementare.
Poi il dopo, fatto di tentativi di tornare alla normalità, con la ripresa del lavoro e delle vecchie abitudini ma con questo vuoto che cresceva giorno dopo giorno, con il dolore fisico del latte che non voleva andare via e con l’ossessione di mantenere un’apparenza normale di fronte al mondo e di fronte a Despina.
Despina ha rotto questo muro di ipocrisia più volte mettendomi davanti alla realtà e chiedendomi se avevo voluto bene a Giovanni perchè lei non mi aveva mai visto piangere per la sua morte. Oppure confessandomi le sue paure perché molte volte nel giardino della scuola insieme alla sua amica Ginevra avevano impastato pozioni magiche per uccidere i loro fratelli e quindi sentiva forte una sua responsabilità, ed anche dando la colpa al pediatra che lo aveva visto senza riscontrare niente. Gli stessi miei genitori mi hanno confessato di aver temuto una loro responsabilità per non aver accolto da subito con gioia la notizia della mia gravidanza. Giancarlo non parlava mai di Giovanni e cercava anche di distogliere me proponendomi cose e attività che mi lasciavano del tutto indifferenti.
Il mio pensiero andava ossessivo a quella giornata del 28 febbraio ed al mio bambino morto. Dopo circa un mese Giancarlo a tavola ha ricordato Giovanni in una sua tipica espressione e solo allora ho realizzato che quando lui pensava al bambino lo ricordava da vivo mentre io pensavo sempre al bambino morto.
Da allora tutte le infinite volte che il mio pensiero scivolava su Giovanni mi sforzavo di ricordarlo vivo (aveva quasi cinque mesi quando è morto e quindi era abbastanza facile, avevo molte cose da ricordare), e piano piano la cosa è diventata automatica, poi ho cominciato a spostare il pensiero su altro per cercare di diminuire l’ossessione.
Despina intanto continuava a penare, un giorno ho detto la parola magica “questa sera andiamo a trovare degli amici che hanno perduto un bambino come noi”, lei si è rischiarata in volto e mi ha chiesto se quindi non eravamo da soli (immagino volesse dire gli unici colpevoli di questa nefandezza, o gli unici incapaci di governare con successo un piccolo), da quel momento ha svoltato.
Poi ha iniziato a desiderare un altro fratello, ed era disponibile a tutto, nella sua mente di bambina l’avrebbe anche comprato.
Anche io ho iniziato dopo sei mesi a desiderare un altro bambino, non riuscivo a sopportare di chiudere una fase, quella della maternità con una delusione, con un saldo negativo. Ed allora è iniziata un’estenuante fase di ricerca di una nuova gravidanza che è durata più di un anno dove si alternavano speranze a delusioni.
Quando ho deciso di rinunciare sono subito rimasta incinta.
Poi c’è stato il periodo della gravidanza, io lo ricordo come un periodo molto felice, fin da subito mi sono sentita forte, e credo di essere riuscita a comunicare agli altri questa mia impressione, forse il tempo che era trascorso dalla gravidanza precedente era tanto o forse, più semplicemente era sufficiente per me perché non ne fossi ancora ossessionata.
La paura è arrivata solamente alla fine, volevo che questa bambina nascesse e nascesse in fretta, avrei desiderato che anticipasse e invece ha sforato di cinque giorni.
Questa ansia faceva sì che Despina non si contenesse più, aveva il timore che capitasse qualche cosa all’ultimo momento che le togliesse, ci togliesse, questa gioia.
Ma finalmente il 5 luglio ’95 è nata Teresa, era bella, sana, pesava 4 kg e stava benissimo. Il primo giorno a casa è arrivato Lorenzo con il monitor dell’Associazione che abbiamo subito messo in opera, solo dopo qualche giorno abbiamo usato quello medico datoci dal Meyer e solamente per il sonno notturno.
Giancarlo preoccupato, Despina felice di quella cosa che ci avrebbe sollevato dalla paura, i nonni incerti, io non ho avuto dubbi ho subito adottato questo sfoggio inaudito di tecnologia, era come se Teresa fosse nata con la “macchinetta”!
Per me è stato come rinascere, avevo di nuovo una bambina e per la prima volta, pur senza indulgere troppo, ho capito meglio che cosa fossero le gioie della maternità.
O forse ho solamente capito appieno.
Io mi definisco una madre un poco militare, rigida e poco malleabile, ma tutto quello che ci succede indubbiamente ci cambia ed ecco quindi che le mie reazioni nei confronti della vita sono mutate, forse riuscirei a spiegarmi meglio a voce, comunque quello che voglio dire è che ho imparato ad accettare meglio gli inconvenienti comuni, a non ribellarmi sempre ostinatamente cercando di cambiare quello che succede.
Penso spesso che Teresa sia una bambina straordinariamente simpatica, altrettanto spesso credo che abbia potuto usufruire di una atmosfera di grande disponibilità, di grande riconoscenza perché è a lei che dobbiamo questo altro pezzo di felicità.
Il tempo mi ha aiutato sicuramente (anche se ancora adesso quando penso a Giovanni il dolore continua ad arrivare forte), ma ce ne vuole molto e certo da solo non basta.
Quello che per me ha fatto la differenza è stato un bambino nuovo, “altro” e diverso da quello che ho perduto, ma capace di riconciliarmi con me stessa ed anche con il resto del mondo. Capace di ridarmi fiducia.
Ed anche la mia relazione con l’Associazione, che è stata in tutti questi anni piena, tumultuosa, importante e che mi ha consentito di accettare la morte di Giovanni e di trasformarla in un’occasione….
Resta per me un dubbio, se la ferita che ha riportato Despina a causa della morte di Giovanni non abbia lasciato in lei un segno troppo grande.
Ancora adesso è molto ansiosa nei confronti di noi familiari, arriva spesso ad accusarmi di fare cose spericolate nell’esercizio di alcune pratiche sportive, ed il nostro più piccolo malessere la riporta immediatamente indietro.
Ed ancora trovo che il suo carattere sia molto guardingo e poco fiducioso, insomma è una ragazza complicata, ma forse questo è comune a molte quattordicenni.
E come consapevole della gioia che Teresa ha potuto ridarci ne è naturalmente molto gelosa.
Altra nota, non riesco mai a parlare di Giovanni con Giancarlo, a dire il vero con pochi perché la commozione prende il sopravvento, diciamo con Giancarlo ancora meno, mentre scopro essermi assai facile la corrispondenza con altri genitori, spesso soli e disperati, e che in queste occasioni affiorino pezzi importanti della mia storia, di cui acquisisco improvvisamente l’importanza, è come se solamente con il dialogo, seppur a distanza, io diventi consapevole.
Firenze, 26 agosto 2000